Descrizione
PREMESSA: LA SUPERIORITA’ DELLA MUSICA SU VINILE E’ ANCOR OGGI SANCITA, NOTORIA ED EVIDENTE. NON TANTO DA UN PUNTO DI VISTA DI RESA, QUALITA’ E PULIZIA DEL SUONO, TANTOMENO DA QUELLO DEL RIMPIANTO RETROSPETTIVO E NOSTALGICO , MA SOPRATTUTTO DA QUELLO PIU’ PALPABILE ED INOPPUGNABILE DELL’ ESSENZA, DELL’ ANIMA E DELLA SUBLIMAZIONE CREATIVA. IL DISCO IN VINILE HA PULSAZIONE ARTISTICA, PASSIONE ARMONICA E SPLENDORE GRAFICO , E’ PIACEVOLE DA OSSERVARE E DA TENERE IN MANO, RISPLENDE, PROFUMA E VIBRA DI VITA, DI EMOZIONE E DI SENSIBILITA’. E’ TUTTO QUELLO CHE NON E’ E NON POTRA’ MAI ESSERE IL CD, CHE AL CONTRARIO E’ SOLO UN OGGETTO MERAMENTE COMMERCIALE, POVERO, ARIDO, CINICO, STERILE ED ORWELLIANO, UNA DEGENERAZIONE INDUSTRIALE SCHIZOFRENICA E NECROFILA, LA DESOLANTE SOLUZIONE FINALE DELL’ AVIDITA’ DEL MERCATO E DELL’ ARROGANZA DEI DISCOGRAFICI .
CREAM
fresh cream
Disco LP 33 giri , 1978, rso , 2479 180, germany
This is a rare 12-track release, as UK but adding
“The Coffee Song” and “Wrapping Paper”. At the beginning both vinyl and cover were made
in Germany and exported for the Swedish market only – the German
original had the same 10 tracks as UK.
Rara versione con 12 brani , inizialmente prodotta in Germania Ovest per il solo mercato svedese. Oltre alle 10 tracce della versione inglese del disco (con “Spoonful” al posto di “I Feel Free” ) sono presenti due brani in più, originariamente usciti solo su singolo: “The Coffee Song” e “Wrapping Paper”
BUONISSIME CONDIZIONI, vinyl ex++ , cover vg+
I Cream furono uno dei gruppi più innovativi della storia del blues-rock britannico dei tardi anni sessanta e furono il primo supergruppo, formati da Eric Clapton, Jack Bruce e Peter “Ginger” Baker.
Fresh Cream è stato l’album di debutto del gruppo britannico Cream, pubblicato nel dicembre del 1966 dalla Polydor Records. Raggiunse la sesta posizione in Inghilterra e la 39 negli Stati Uniti.
Nel 2003, l’album è stato classificato al numero 101 su Rolling Stone magazine nella classifica dei 500 album più belli di tutti i tempi.
Fresh Cream is Cream‘s December 1966 debut album. It was the first LP release of producer Robert Stigwood‘s new “Independent” Reaction Records
label. It reached number 6 in the UK in February 1967 and – eventually
– number 39 in the US in August 1968. The British version omitted “I Feel Free” (then their current single), while the US version contained it, though it dropped “Spoonful“. The CD re-issue of 2000 preserves both songs in the album’s running order.
In 2003, the album was ranked number 101 on Rolling Stone magazine’s list of the 500 greatest albums of all time.
- Etichetta: RSO Records
- Catalogo: 2479180
- Matrici : 623 031 A = 2 320 / 623 031 A = 2 320
- Data di pubblicazione: 1978
- Supporto:vinile 33 giri
- Tipo audio: stereo
- Dimensioni: 30 cm.
- Facciate: 2
- tan label, white paper inner sleeve, glossy cover / copertina lucida
Track listing
Side 1
- “N.S.U.” (Bruce) – 2:41
- *The track title N.S.U. is an acronym for “Non-Specific Urethritis“. It was also a make of car in the Sixties, and Jack Bruce was something of car enthusiast.
- “Sleepy Time Time” (Bruce, Janet Godfrey) – 4:14
- “Dreaming” (Bruce) – 1:55
- “Sweet Wine” (Ginger Baker, Godfrey) – 3:15
- “Spoonful” (Willie Dixon) – 6:25
- Wrapping Paper (Bruce, Brown) – 2:24
Side 2
- “Cat’s Squirrel” (Traditional, arr. S. Splurge) – 2:58
- “Four Until Late” (Robert Johnson, arr. Eric Clapton) – 2:56
- “The Coffee Song” (Colton, Smith) – 2:55
- “Rollin’ and Tumblin’” (Muddy Waters) – 4:41
- “I’m So Glad” (Skip James) – 3:55
- “Toad” (Baker) – 5:07
Recorded June – September 1966 at Mayfair Production Ltd., 64 South Molton Street,
London.
Stereo Version of ‘Fresh Cream’ mixed on 8. December 1966 at Mayfair Production
Ltd.
“Wrapping
Paper” and “The Coffee Song” [recorded in August 1966 at Chalk Farm
Studios]
Personnel
- Eric Clapton – guitar, vocals
- Jack Bruce – vocals, bass, harmonica
- Ginger Baker – drums, percussion, vocals
Fresh Cream represents so many different firsts, it’s difficult
to keep count. Cream, of course, was the first supergroup, but their
first album not only gave birth to the power trio, it also was
instrumental in the birth of heavy metal and the birth of jam rock.
That’s a lot of weight for one record and, like a lot of pioneering
records, Fresh Cream doesn’t seem quite as mighty as what would
come later, both from the group and its acolytes. In retrospect, the
moments on the LP that are a bit unformed — in particular, the halting
waltz of “Dreaming” never achieves the sweet ethereal atmosphere it
aspires to — stand out more than the innovations, which have been so
thoroughly assimilated into the vocabulary of rock & roll, but Fresh Cream
was a remarkable shift forward in rock upon its 1966 release and it
remains quite potent. Certainly at this early stage the trio was still
grounded heavily in blues, only fitting given guitarist Eric Clapton‘s stint in John Mayall’s Bluesbreakers, which is where he first played with bassist Jack Bruce, but Cream never had the purist bent of Mayall, and not just because they dabbled heavily in psychedelia. The rhythm section of Bruce and Ginger Baker
had a distinct jazzy bent to their beat; this isn’t hard and pure, it’s
spongy and elastic, giving the musicians plenty of room to roam. This
fluidity is most apparent on the blues covers that take up nearly half
the record, especially on “Spoonful,” where the swirling instrumental
interplay, echo, fuzz tones, and overwhelming volume constitute true
psychedelic music, and also points strongly toward the guitar worship
of heavy metal. Almost all the second side of Fresh Cream is devoted to this, closing with Baker‘s
showcase “Toad,” but for as hard and restless as this half of the album
is, there is some lightness on the first portion of the record where Bruce
reveals himself as an inventive psychedelic pop songwriter with the
tense, colorful “N.S.U.” and the hook- and harmony-laden “I Feel Free.”
Cream shows as much force and mastery on these tighter, poppier tunes
as they do on the free-flowing jams, yet they show a clear bias toward
the long-form blues numbers, which makes sense: they formed to be able
to pursue this freedom, which they do so without restraint. If at times
that does make the album indulgent or lopsided, this is nevertheless
where Cream was feeling their way forward, creating their heavy
psychedelic jazz-blues and, in the process, opening the door to all
kinds of serious rock music that may have happened without Fresh Cream, but it just would not have happened in the same fashion as it did with this record as precedent.
“Fresh Cream”, ovvero il primo album
dei Cream, può considerarsi, in parte,
un disco di blues revival. In effetti, i tre componenti
della band erano reduci da precedenti esperienze
blues. Eric “Clapton” Clapp, il chitarrista,
aveva già militato negli Yardbirds e partecipato
all’incisione di “Bluesbreakers”, di
John Mayall. Lo stesso Clapton conobbe il bassista
scozzese Jack Bruce nei Powerhouse, temporanea
formazione capeggiata dallo stesso Mayall, e in
cui suonò le tastiere Steve Winwood dei
Traffic. Il batterista Peter “Ginger”
Baker, invece, aveva maturato la propria esperienza
con il musicista nigeriano Fela Anikulapo Kuti,
nonché nella Graham Bond Organisation.
L’album fu pubblicato nel dicembre del 1966,
in seguito al singolo “Wrapping paper”.
Le influenze blues sono assai evidenti in gran
parte dei brani, molti dei quali sono cover. “Four
until late”, ad esempio, è un brano
di Robert Johnson. Rispetto all’originale, la
versione rielaborata da Clapton appare molto meno
enfatica e sofferta, con un’impronta decisamente
più rock, grazie all’apporto della batteria
ed al suono distorto della chitarra elettrica.
“Spoonful” di Willie Dixon, invece,
si presenta più pacata, a volte strascicata
ed ossessionante, come se fosse eseguita nel pieno
di un’atmosfera lisergica.
Tuttavia, il patrimonio innovativo dei Cream
è dato dai brani composti dai membri della
band, i quali convogliano verso un genere che
costituì oggetto di emulazione da parte
di molti esponenti del rock moderno. Il primo
hit single “I feel free” è un
pezzo coinvolgente e spensierato, in cui non si
tagliano totalmente i ponti con il passato, grazie
ai cori vocali che animano soprattutto la parte
iniziale. Il basso di Bruce, invece, crea un clima
lievemente psichedelico.
Tale orientamento viene maggiormente sviluppato
nel brano “N.S.U.”, il cui acronimo
sta per “non-specific urethritis”, ossia
una forma di malattia venerea. Il pezzo è
dominato dai riff ed assoli della chitarra di
Clapton, distorti anche dal “wah-wah”,
che imprimono ad esso un carattere più
rock e lo consacrano come elemento di continuità
rispetto all’album successivo, “Disraeli
gears“. “Toad”, infine, è
un pezzo strumentale in cui appaiono rilevanti
le acrobazie percussionistiche di Baker, che ne
è anche il compositore.
Numerosi furono gli elogi ricevuti da parte della
critica del momento. John Landau, critico di “Crawdaddy”,
risaltò la genialità dei singoli
componenti, considerando però il fenomeno
Cream, un tentativo di sperimentazione. Clapton,
contrariamente a tali affermazioni, precisò
che i Cream non furono l’esito di una semplice
riunione di tre bluesmen, bensì una band
compatta ed integra nel suo modo di essere.
Prodotto da Robert Stigwood e registrato presso
gli studi “Chalk farm” e “Mayfair”
di Londra, “Fresh cream” fu il biglietto
da visita col quale Bruce, Baker, ma soprattutto
Clapton, manifestarono il loro ricco bagaglio
di esperienze nell’ambiente blues, dimostrando
tuttavia di saper realizzare uno stile nuovo,
destinato a segnare diverse generazioni della
storia del rock.
I Cream sono la band più celebre della scena blues revival che prese piede verso la metà degli anni 60 in Inghilterra. Di fatti, il loro sound
partì dalle musiche afroamericane, il blues del delta del Mississippi e
il rock‘n’roll degli anni Cinquanta, e approdò in terre molto prossime
all’hard-rock. I Cream hanno fatto da ponte tra il blues-rock dei bianchi, quello di John Mayall e dei primi Yardbirds, e l’hard-rock dei Led Zeppelin e dei primi Black Sabbath. In mezzo, insieme a loro, si trovano gli Who di “My Generation” e i primi Rolling Stones che, però, a differenza di Clapton e soci, pur essendo bianchi nella pelle, restavano “neri” nello spirito. Jimi Hendrix,
che per sua stessa ammissione decise di formare la sua band sull’onda
del furore incendiario sprigionato proprio dai Cream, va collocato,
nell’opinione di chi scrive, in un’area a parte, essendo egli erede
diretto delle sofferenze e dello sfruttamento subiti dai grandi bluesmen
neri del passato. Il blues è dolore da lenire, e la differenza tra
Hendrix e Clapton (i due chitarristi più amati degli anni Sessanta) è
che quest’ultimo amava il blues, mentre Hendrix era il blues.
Quello
dei Cream fu anche uno dei primi supergruppi rock: il chitarrista Eric
Clapton, con trascorsi negli Yardbirds e nei Bluesbreakers di John
Mayall; il batterista Peter Baker, che aveva collaborato con Alexis
Korner e col musicista nigeriano Fela Kuti; e il bassista Jack Bruce,
anche lui precedentemente affiliato alle band di Mayall e Korner.
Debuttarono
con “Fresh Cream” nel 1966, un album composto essenzialmente da cover
di vecchi pezzi blues riproposti con la potenza dei suoni
elettrificati. L’innovazione stava nelle fragorose distorsioni di
Clapton, create grazie al cosiddetto effetto wah-wah, che
segnarono un nuovo modo di suonare la chitarra elettrica, indicando un
diverso territorio su cui sciorinare il proprio virtuosismo; territorio
sul quale ha esercitato totale dominio Jimi Hendrix.
Con il
secondo disco “Disraeli Gears”, i Cream, aiutati negli arrangiamenti
anche dal produttore Felix Pappalardi, trovarono un propria direzione
compositiva, liberandosi dall’ingombro delle cover
che dominavano il disco precedente. In questo modo, i tre, pur
mantenendo i legami strutturali col blues, furono liberi di inoltrarsi
stilisticamente verso l’hard-rock e la musica psichedelica,
scongiurando così il pericolo che la loro musica restasse semplicemente
un banale, seppur gradevole, revival. Il disco parte da
“Strange Brew”, brano dal gusto pop dominato dalla batteria sorniona di
Baker e dagli assolo sfuggenti di Clapton. Quanto a Bruce, è spesso
considerato tra migliori bassisti di sempre: il suo ruolo non è quello
di semplice portatore di ritmo, ma quello di arguto tessitore di
linee-guida armoniche per gli assalti di Baker e Clapton. Ne è la prova
la successiva “Sunshine Of Your Love”, il loro capolavoro, con Bruce
che si distingue anche per la possente prestazione vocale. Clapton e
Baker fanno il resto: il primo con uno dei suoi assolo più memorabili,
e il secondo con il suo stile crudo ma pulito.
“World Of Pain”
è un altro pezzo in balìa del basso di Bruce, che gli conferisce un
tono quasi elegiaco; segue la breve cavalcata psichedelica di “Dance
The Night Away”, con il basso di Bruce che cuce incantati arabeschi e
la chitarra di Clapton che sembra quasi imitare il suono di un sitar. “Blue Condition” risulta persino ironica: una cantilena burlesca tra country e blues.
I riverberi fantasmagorici della chitarra di Clapton in “Tales Of Brave Ulysses” vengono infiammati dall’imponente drumming di Baker, mentre nell’assolo finale il già menzionato effetto wah-wah tocca epiche vertigini.
“Swlabr”
con le sue accelerazioni supersoniche regala lauti spunti per tutti gli
amanti dell’hard-rock. Il brano più affascinante del disco risulta,
però, “We’re Going Wrong”: uno spettrale raga-blues straniato dal
crescendo febbricitante dei tamburi e dal canto messianico di Bruce.
Solo
verso la fine del disco il gruppo sfodera due dei suoi blues-rock
magistrali: quello roccioso di “Outside Woman Blues” e quello
campestre, con tanto di armonica, di “Take It Back”.
Il traditional “Mother’s Lament”, cantato in coro come un’accolta d’ubriachi all’uscita di un’osteria, pone fine al disco.
I
Cream non potevano durare molto; troppi erano i capricci da primedonne,
troppe le invidie reciproche, troppe le ambizioni di ognuno dei tre di
prevalere sull’altro, e infatti, dopo altri due dischi, nel novembre
del ’68 ciascuno prese la propria strada: Bruce si diede al jazz, Baker
alla world music e Clapton si mise in proprio. Quest’ultimo riuscirà
perfino a disintossicarsi dall’eroina, ma non riuscirà a liberarsi
dall’arido manierismo tecnico che pervade quasi tutti i suoi lavori
solistici. Dispiace oggi constatare che il chitarrista rivoluzionario
di un tempo si sia trasformato rapidamente in uno Steve Vai qualsiasi.
Origini e formazione
Certamente, vista la grande portata dell’eco musicale suscitata dal beat, non è possibile affermare che la musica blues suonata dai bianchi, il blues bianco
appunto, possa essere considerata la grande scoperta o riscoperta del
gusto musicale dei primi anni sessanta. È indubbio però che esso
racchiude in sé tutte le caratteristiche principali della musica pop di quel periodo. La fucina di esperienze musicali che brucia nel periodo dell’after-beat di Londra,
conta nei suoi crogioli vari elementi primari. II primo di questi
elementi è il blues americano, quello che vide le sue stars degli anni
cinquanta illuminare le fantasie e le immagini oniriche di milioni di
ragazzi. Entrato prepotentemente nel Regno Unito, esso muta il suo schema tradizionale in uno nuovo: lo stile britannico.
II blues subisce quindi un processo rinnovativo a contatto con
l’ambiente culturale che si respira nell’Inghilterra di quegli anni.
Un fattore primario si evidenzia sugli altri: è suonato dai bianchi.
La sua caratteristica peculiare, che è quella di appartenere per
tradizione e per cultura alla gente di colore, crea però vari problemi
a coloro che decidono di intraprendere la nuova strada. Si levano voci
da più parti, in special modo dalla critica più tradizionale, che si
chiedono: è possibile per dei bianchi suonare il blues, penetrare
nella sua quintessenza? Questi aforismi finiscono anche per influenzare
il mercato discografico che rifiuta di aprire le sue porte al nuovo
blues, il quale a sua volta è costretto a rifugiarsi nell’underground
delle innumerevoli cantine fumose e cariche di birra. Qualcuno fedele
ad una rigorosa imitazione dei vecchi bluesmen, riesce però ad
affacciarsi sulla scena: John Mayall.
Alla sua scuola e fra le file dei suoi gruppi passarono tutti i
musicisti che di lì a poco, per un verso o per l’altro, avrebbero
calcato e rinnovato le strutture del blues di quegli anni. Fra questi
anche Jack Bruce ed Eric Clapton, le colonne portanti di quello che di lì a pochi anni sarebbe stato uno dei primi supergruppi della musica rock: i Cream.
Infatti, pur essendo riuscito un personaggio come Mayall a imporsi
all’attenzione del pubblico e dei mass-media, rimanevano
contemporaneamente emarginati, dalla stampa e dalle multinazionali del
vinile, una moltitudine di artisti e di piccoli gruppi che cercavano di
imporsi nel nome del blues bianco o del rinnovamento artistico. I Cream
furono i primi a rompere l’accerchiamento che stampa ed organi
ufficiali della musica avevano creato intorno a questi tentativi
innovativi, riuscendo a rendere attuale ed accettato il blues bianco
introducendovi al contempo la sperimentazione e le possibilità
innovative del pop. I Cream nascono in Inghilterra nel 1966, il gruppo è composto da Eric Clapton chitarra e voce, Jack Bruce basso e voce e Peter “Ginger” Baker
alla batteria, il gruppo conobbe in quell’epoca una ascesa memorabile,
riuscendosi a imporre in soli tre anni di attività effettiva dal 1966 al 1969.
Componenti
Il nucleo del gruppo era composto da due allievi di Mayall: Eric
Clapton, l’unico che abbia avuto a quei tempi la possibilità di
scrivere il suo nome accanto a quello del maestro sulla copertina di un
disco (Bluesbreakers-John Mayall with Eric Clapton) e Jack Bruce, bassista. Fuoriusciti dal gruppo i due si unirono a Ginger Baker per formare i Cream, il primo supergruppo blues-rock della storia della musica contemporanea. I tre avevano alle spalle una certa esperienza musicale. Jack Bruce (nato nel 1943), era passato tra il 1963 ed il 1966 attraverso le file dei maggiori complessi blues londinesi, dalla Graham Bond Organisation a Manfred Mann fino ad approdare ai Bluesbreakers; Peter Ginger Baker (nato nel 1939) prima di arrivare alla batteria, aveva suonato la tromba per molti gruppi di jazz come le band di Acker Bill e Terry Lighfoot. Quindi era passato, nel 1962 a sostituire Charlie Watts nei Blues Incorporated di Alexis Corner e nel 1963 nelle file della Graham Bond Organisation dove era rimasto fino al 1966. Eric Clapton (nato nel 1945), aveva formato il suo primo vero gruppo nel 1963: i Rooster, affascinato dall’ondata blues aveva fatto parte fra il 1963 ed il 1966 della line-up di numerose band di grosso nome come Engineers, Yardbirds e Bluesbreakers.
Fresh Cream
Il loro disco di esordio uscì alla fine del 1966: Fresh Cream. L’album, edito dopo una trionfale partecipazione del gruppo al Festival di Windsor nel 1966, si posizionò alla posizione n°6 in nella chart UK e alla n°39 in quella US, l’
album denota un tentativo di espandersi nelle direzioni dove il blues
era ancora re e l’improvvisazione regina. Accanto a rivisitazioni di
canzoni appartenenti alla storia del blues, come I’m so glad di Skip James, Four Till Late di Robert Johnson, Rollin’ and Tumblin’ di Muddy Waters e Spoonful di Willie Dixon; completano Fresh Cream
composizioni di Bruce e Brown. Per quanto riguarda un discorso
sull’improvvisazione, che di lì a poco sarebbe divenuta marchio
registrato della premiata macchina Cream, pur essendo rilevante, essa
non era la componente principale del disco, ma allo stesso tempo più
che sufficiente per dimostrare la grande potenzialità del gruppo. Era
già evidente che per l’epoca i Cream erano qualcosa di molto speciale;
non a caso il loro raggio di azione spaziava liberamente, tra il
recupero di un blues a livello pressoché accademico e le originali
composizioni firmate da Jack Bruce e Pete Brown. Speciale, pur senza
essere particolare ed innovativa per quei primi anni sessanta, era
anche la sezione strumentale composta dal celebre trio di chitarra,
basso e batteria; era incredibile che un trio fosse in grado di creare
una musica ricca di un’atmosfera che, pur permeata di blues,
contenesse una vivacità e una freschezza tali da riuscire a
svincolarsi dalle immancabili classificazioni da etichetta. Tutto ciò
che nell’album di esordio il gruppo lascia intendere in potenzialità,
si trova realizzato in Disraeli Gears.
Disraeli Gears
L’album Disraeli Gears uscito nel 1967 ;
qui il blues è ormai ghirlanda in margine a tutto il contesto musicale
che lo accompagna. Le linee melodiche si straniscono fino a diventare
acide. La psichedelia nascente influenza il gruppo anche per quel che
riguarda la realizzazione grafica della cover: un lavoro firmato da Martin Sharp, che già si era distinto per delle splendide grafiche apparse sulla rivista (underground) Os . Anche la produzione respira aria nuova sotto la fertile mente del newyorkese Felix Pappalardi.
Per quanto riguarda le songs, la coppia Bruce / Brown continua a
rivelarsi affiatata ed adatta al lavoro del gruppo, ma accanto alle
loro sono presenti anche una coppia di composizioni di Clapton; una
con il testo di Sharp, l’altra scritta in collaborazione con Pappalardi
e la moglie Gail Collins. Nell’album due brani, Sunshine of Your Love e Swlabr
(il titolo fu ottenuto prendendo le lettere iniziali di quello che
doveva essere il titolo originale della canzone e cioè She Was Like A
Bearded Rainbow), evidenziarono la nuova strada musicale intrapresa da
Jack Bruce, che di lì a poco fu etichettata come heavy riff .
Tutto questo venne recepito dalla gente, tanto che l’audience del
gruppo di estende fino a trainare l’album nelle prime posizioni delle
classifiche (l’unica cosa che a distanza di tanti anni è rimasta
importante), grazie anche ai giganteschi tour di concerti che
portarono i Cream a suonare in mille angoli della terra. Da quel
momento ogni LP del gruppo vendette sopra il milione di copie.
Wheels of Fire
Ma fu il loro terzo lavoro, il doppio Wheels of Fire,
che li consacrerà alla leggenda, che li indicherà come uno dei gruppi
leader del nascente pop, che farà sì che il nome Cream entri nelle
enciclopedie musicali. Lungo le quattro facciate lo stile si snoda
sicuro, conscio di far parte ormai di un’epoca, su lunghissime tirate
di basso chitarra che fecero impazzire tutta una generazione di
giovani fans e musicisti. Una delle caratteristiche che distinse i
Cream da qualsiasi altro gruppo di quel periodo fu senza dubbio il
fatto che tutti e tre i componenti del gruppo suonavano liberamente,
senza costrizione; questa libertà viene esaltata nelle facciate di Wheels of fire
registrate dal vivo; la carica trascinante che il gruppo riusciva a
donare al pubblico durante i concerti è riportata interamente in questo
disco; rimane ad esempio famosa la versione di Spoonful che
copriva quasi per intero la terza facciata. Accanto a questo però il
long playing mostrava anche le prime corde tirate del connubio fra i
tre artisti: la parte live è testimonianza del fatto che i concerti
dati dal gruppo erano stati tanti, forse troppi. In alcuni punti, anche
dove la chitarra di Clapton sembra dare l’impressione di essere tirata
per i capelli, si ha la netta sensazione di assistere ad un lavoro di
routine, perfetto e professionale finché si vuole, ma privo di felici
invenzioni. Il gruppo si accorge di tutto questo; infatti la
sperimentazione, la innovazione erano le caratteristiche peculiari e
basilari sulle quali erano state poste le fondamenta del fortunato
sodalizio, che con una coraggiosa decisione (visto che la commercialità
era assicurata) si scioglie. Il concerto di addio, dato a Londra il 26 novembre del 1968, dal nome Farewell Concert fu
commovente. La gente accorse in massa per salutare coloro che avevano
creato il suono inglese pop degli anni sessanta. Per ragioni di
contratto il trio dovette in ogni caso assolvere l’incombenza di
preparare un quarto disco; quello dell’addio o meglio dell’arrivederci:
Goodbye.
Goodbye
In questo loro ultimo album Goodbye
risalta la vera ragione della separazione di Bruce, Clapton e Baker:
la povertà di materiale che i tre potevano incidere su vinile. Infatti
la presenza di soli tre pezzi nuovi in un 33 che segue un LP live
dimostra come ormai le tendenze musicali dei tre erano lontane anni
luce l’una dall’altra così da costringerli ad un continuo recupero del
passato. Tutto ciò è stato poi chiaramente dimostrato nel corso delle
carriere solistiche dopo lo scioglimento. Un altro motivo della
separazione va ricercato nel fatto che a differenza di altre
formazioni, che calcavano le scene nel medesimo periodo ed erano
composte da adolescenti (per i quali il fatto di suonare era
semplicemente un altro dei modi possibili di stare insieme e
divertirsi), i Cream erano tre uomini adulti che avevano deciso di
suonare insieme per mestiere. Quindi, arrivato il momento in cui il
feeling delle loro composizioni non era più accettato all’unanimità,
ecco che subito venivano a cadere tutte le possibilità di rimanere
uniti. Probabilmente contribuì a spezzare un filo già teso, anche la
grande, gigantesca mole di impegni di cui i Cream si gravarono per
raggiungere il successo, primi fra tutti i tour americani pieni di
centinaia di date: furono probabilmente i concerti americani a lanciare
il gruppo in testa alle classifiche e ad esportarli su tutti i mercati
discografici del mondo, ma verosimilmente allo stesso tempo furono la
macchina che logorò e sgretolò fisicamente e psichicamente i tre
artisti.
Rock and Roll Hall of Fame
I tre non suonarono insieme di nuovo fino al 1993, quando i Cream furono introdotti nella Rock and Roll Hall of Fame e si esibirono alla cerimonia di premiazione.
Riunione I concerti alla Royal Albert hall nel 2005
Il gruppo si è poi riunito nel maggio 2005 per una serie di quattro show alla Royal Albert Hall, proprio dove avevano tenuto il loro concerto di addio nel 1968. Il 24, 25 e 26 ottobre 2005 altri show si sono svolti al Madison Square Garden.
Poche altre formazioni possono affermare di aver influenzato la
musica di un’ epoca in soli tre anni. Infatti sono pochi i componenti
delle line-ups tutt’oggi in voga che possono dire di non essere stati
influenzati in qualche modo dai Cream. Essi vantano nella storia del
rock diversi primati: di essere stati i primi ad incidere un doppio
album con brani inediti (in quel periodo ogni LP era soltanto un
assemblaggio dei 45 giri
più riusciti dell’artista, così da poter contare già all’uscita su
brani presenti nelle classifiche); di aver compilato per primi un disco
le cui canzoni superarono abbondantemente la soglia dei tre minuti
cari all’industria discografica dei primi anni sessanta; di essere
stati ancora i primi a raggiungere in studio come sul palcoscenico un
grado di improvvisazione musicale fino ad allora sconosciuto. È
indubbio che la critica musicale si sia lasciata sfuggire più volte
giudizi fin troppo favorevoli nei loro confronti, anche in occasioni
in cui non c’era bisogno di essere teneri, ma questa sopravvalutazione
va considerata anche come il giusto riconoscimento di un nuovo modo di
intendere la musica, in special modo per quanto riguarda le esibizioni
dal vivo che da sempre sono lo specchio dell’anima di ogni band che si
voglia considerare tale. La numerosa genia degli imitatori che seguì lo
scioglimento dei Cream deve far riflettere anche sulla eco che il loro
lavoro lasciò alle spalle.