Descrizione
PREMESSA: LA SUPERIORITA’ DELLA MUSICA SU VINILE E’ ANCOR OGGI SANCITA, NOTORIA ED EVIDENTE. NON TANTO DA UN PUNTO DI VISTA DI RESA, QUALITA’ E PULIZIA DEL SUONO, TANTOMENO DA QUELLO DEL RIMPIANTO RETROSPETTIVO E NOSTALGICO , MA SOPRATTUTTO DA QUELLO PIU’ PALPABILE ED INOPPUGNABILE DELL’ ESSENZA, DELL’ ANIMA E DELLA SUBLIMAZIONE CREATIVA. IL DISCO IN VINILE HA PULSAZIONE ARTISTICA, PASSIONE ARMONICA E SPLENDORE GRAFICO , E’ PIACEVOLE DA OSSERVARE E DA TENERE IN MANO, RISPLENDE, PROFUMA E VIBRA DI VITA, DI EMOZIONE E DI SENSIBILITA’. E’ TUTTO QUELLO CHE NON E’ E NON POTRA’ MAI ESSERE IL CD, CHE AL CONTRARIO E’ SOLO UN OGGETTO MERAMENTE COMMERCIALE, POVERO, ARIDO, CINICO, STERILE ED ORWELLIANO, UNA DEGENERAZIONE INDUSTRIALE SCHIZOFRENICA E NECROFILA, LA DESOLANTE SOLUZIONE FINALE DELL’ AVIDITA’ DEL MERCATO E DELL’ ARROGANZA DEI DISCOGRAFICI .
THE GRATEFUL DEAD
american beauty
Disco LP 33 giri , 1970, warner bros records / kinney filipacchi music , 46074 ( WS 1893 ),France , first pressing
OTTIME CONDIZIONI, vinyl ex++/NM, cover ex++.
American Beauty is the fifth album by the Grateful Dead. It was recorded between August and September 1970 and originally released in November 1970 by Warner Bros. Records. The album continued the folk rock and country music explored on Workingman’s Dead and features the lyrics of Robert Hunter prominently.
In 2003, the album was ranked number 258 on Rolling Stone magazine’s list of the 500 greatest albums of all time.
Supporto:vinile 33 giri
Tipo audio: stereo
Dimensioni: 30 cm.
Facciate: 2
Laminated front cover / copertina frontale laminata , green olive label, poly inner sleeve
The band began recording American Beauty only a few months after the release of Workingman’s Dead.
An odd occurrence was that the band recorded the album without their
sound crew, which was out on the road as part of the Medicine Ball
Caravan tour (which the Dead were originally scheduled to join), and
this led to staff engineer Stephen Barncard replacing Bob Matthews as
producer — “a move that irks Matthews to this day.” Barncard mused
that “I had heard bad stories about engineers’ interactions with the
Dead … but what I found were a bunch of hardworking guys.”
Both Workingman’s Dead and American Beauty were innovative at the time for their fusion of bluegrass, rock and roll, folk music and, especially, country. Compared to Workingman’s Dead, American Beauty had even less lead guitar work from Jerry Garcia, who instead filled the void with shimmering pedal steel guitar passages on both albums. It was during the recording of this album that Garcia would first collaborate with mandolinist David Grisman.
“I just bumped into Jerry at a baseball game in Fairfax, and he said,
‘Hey, you wanna play on this record we’re doing?'” commented Grisman. Phil Lesh, in his autobiography, commented “the magnetism of the scene at Wally Heider‘s
recording studio made it a lot easier for me to deal with Dad’s loss
and my new responsibilities. Some of the best musicians around were
hanging there during that period; with Paul Kantner and Grace Slick from Jefferson Airplane, the Dead, Santana, Crosby, Nash, and Neil Young working there, the studio became jammer heaven … Thank the Lord for music; it’s a healing force beyond words to describe.”
“Truckin’” and “Ripple” were released as a single, and the songs “Box of Rain“, “Sugar Magnolia“, and “Friend of the Devil” also received radio play. In his book on Garcia, Blair Jackson noted that “if you liked rock’n’roll in 1970, but didn’t like the Dead, you were out of luck, because they were inescapable that summer and fall.” American Beauty peaked at #30 on Billboard‘s
Pop Albums chart (North America), while the single, “Truckin'”, peaked
at #64 on the Pop Singles chart and achieved considerable FM rock radio airplay. It is the final album with Mickey Hart until his return to the band four years later in 1975.
Brani / Tracks
Face 1 |
- “Box of Rain” (Hunter, Lesh) – 5:16
- “Friend of the Devil” (Garcia, Dawson, Hunter) – 3:20
- “Sugar Magnolia” (Weir, Hunter) – 3:15
- “Operator” (Ron McKernan) – 2:21
- “Candyman” (Garcia, Hunter) – 6:12
Face 2
- “Ripple” (Garcia, Hunter) – 4:10
- “Brokedown Palace” (Garcia, Hunter) – 4:18
- “Till the Morning Comes” (Garcia, Hunter) – 3:13
- “Attics of My Life” (Garcia, Hunter) – 5:09
- “Truckin’” (Garcia, Lesh, Weir, Hunter) – 5:09
Personnel
- Jerry Garcia – Guitar, pedal steel guitar on “Sugar Magnolia”, “Candyman”, and “Brokedown Palace”, piano on “Box of Rain”, vocals
- Mickey Hart – Percussion
- Robert Hunter – Lyricist
- Phil Lesh – Bass guitar, acoustic guitar on “Box of Rain”, piano, vocals
- Bill Kreutzmann – Drum kit
- Ron “Pigpen” McKernan – Harmonica, vocals
- Bob Weir – Guitar, vocals
- Additional performers
- David Grisman – Mandolin on “Friend of the Devil” and “Ripple”
- David Nelson – Electric guitar on “Box of Rain”
- Ned Lagin – Piano on “Candyman”
- New Riders of the Purple Sage
- Dave Torbert – Bass guitar on “Box of Rain”
- Howard Wales – Organ on “Candyman” and “Truckin'” and piano on “Brokedown Palace”
Art: Kelly-Mouse studios. Rear photo: George Conger
A companion piece to the luminous Workingman’s Dead, American Beauty
is an even stronger document of the Grateful Dead’s return to their
musical roots. Sporting a more full-bodied and intricate sound than its
predecessor thanks to the addition of subtle electric textures, the
record is also more representative of the group as a collective unit,
allowing for stunning contributions from Phil Lesh (the poignant opener, “Box of Rain”) and Bob Weir (“Sugar Magnolia”); at the top of his game as well is Jerry Garcia, who delivers the superb “Friend of the Devil,” “Candyman,” and “Ripple.” Climaxing with the perennial “Truckin’,” American Beauty remains the Dead’s studio masterpiece — never again would they be so musically focused or so emotionally direct.
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Dopo essere stati il motore della rivoluzione psichedelica, il punto
focale di tutto il movimento lisergico degli anni ’60, all’inizio del
decennio successivo i Grateful Dead cambiano decisamente rotta. Nel
1969 i nostri davano alle stampe “Live/Dead” il disco che è considerato
all’unanimità come il punto più alto di tutto il rock psichedelico e
uno dei più grandi (se non il più grande in assoluto) live album di
sempre. Raggiunta la vetta i nostri probabilmente si sono resi conto
che più in là di così non si poteva andare e decidono di dare un taglio
al passato proponendo un album dai toni morbidi, lievemente west
coastiani e acustici, come “Workingman’s Dead”. Questa scelta fa
gridare molti al tradimento, il movimento psichedelico è ormai in crisi
irreversibile e tanti sussurrano che il “capitano” Jerry lascia la nave
prima che affondi. Le critiche però non scuotono il geniale Garcia che
anzi a distanza di pochi mesi da Workingman’s da alle stampe “American
Beauty”. Disco questo che riprende il discorso del suo successore
esaltando ancora di più l’innato amore di Garcia per la musica
acustica, per il blues il folk e il bluegrass. Tutto il lavoro è
incentrato sulle armonie vocali che richiamano direttamente la west
coast, i Beach Boys, CSNY. Le chitarre acustiche sorreggono le dieci
splendide ballate che compongono questo immenso album dove comunque non
mancano certo alcuni accenni alla musica psichedelica. Un disco così
incredibilmente affascinante che in un colpo solo fa dimenticare tutte
le critiche e si salda nel cuore dei fan dei Dead anche grazie ad
alcune canzoni che diventeranno dei classici del repertorio live dei
nostri. Si parte subito alla grande con “Box Of Rain” magnifica ballata
dai toni west coastiani, il gioco di chitarre elettriche e acustiche,
la grande melodia i cori pacati e seducenti ne fanno un capolavoro
ancora amatissimo dai fan. Uno dei grandi classici contenuti in questo
album è certamente “Friend of the Devil” un piccolo gioiello che
strizza l’occhio al bluegrass, dotato di un ritmo irresistibile e di
quella sana propensione alla jam che è il marchio di fabbrica di tutta
la musica dei Dead; sensazionale il lavoro al mandolino di David
Grissman che fa già presagire le meraviglie che lui e Jerry ci
regaleranno in futuro. Se vi chiedete da dove arriva la musica della
Dave Matthews Band ora avete la risposta. “Sugar Magnolia” si rivolge
ancora alla west coast ma lo fa con la visione sempre geniale dei
Grateful Dead fatta di brevi assoli elettrici tipicamente blues e le
linee del basso inconfondibile di Lesh. “Operator” ritorna su territori
decisamente più tradizionali con una grande melodia tipicamente country
a cui si aggiunge la straordinaria armonica blues di Pigpen. “Candy
Man” è invece una grandissima ballata elettroacustica ricca di fascino
dove spicca la pedal steel di Jerry. “Ripple” rivede in azione la
coppia Garcia – Grissman con un brano acustico dotato si splendide
armonie vocali. Da antologia la parte centrale in cui Jerry canta sopra
al mandolino di David. “Brokedown Palace” è ancora una ballatona di
quelle che tolgono il fiato con il piano in grande evidenza. “Till the
Morning Comes” invece alza decisamente il ritmo riportando alla luce
alcuni elementi del passato. “Attics of My Life” è decisamente atipica
con un coro quasi gospel. Si chiude con una delle canzoni manifesto del
disco la monumentale “Truckin’”: l’hammond B3 e il piano sorreggono le
svisate elettriche di Jerry mentre Phil disegna note magiche nell’aria.
“American Beauty” è un disco che ci presenta l’altra faccia dei
Grateful Dead, una faccia magari diversa da quella psichedelica che li
ha resi celebri ma non per questo meno geniale. Certo in questo album i
colpi dell’estro innato di Jerry sono un po’ meno evidenti, quasi
nascosti, ma alcune soluzioni sono a dir poco eccezionali. Questo è un
disco essenzialmente di ballate dove le canzoni sono le vere regine
, canzoni a semplicemente splendide che a distanza di quasi 35 anni
sanno ancora riscaldare il cuore di tutti coloro i quali hanno amato
l’arte di Jerry Grascia, uno dei più grandi geni musicali del secolo
scorso.
For once a truly beautiful album cover is more
than matched by the record inside. The dead just refuse to keep within
any normal limits, and I hope that it stays that way for a long time. Workingman’s Dead was a lovely album, lush, full, and thoroughly real in musical and lyrical content. American Beauty
is a joyous extension of the last album. If possible there is even more
care on vocal wok. Everyone in the band sings, and sings well alone and
together.
A complete contentment shines through the vocal work on
this album. A full contentment. The instrumentation is rich with sound
that moves through, under, and into the listener. Damn it all, the
album is American beauty, of the best possible kind. The positivity of
the Dead just can’t be kept down. Look at the cover. “American Beauty”
can also be read as “American Reality,” thanks to Mouse Studios. If
more of the American reality were this album, we’d all have a lot more
to be thankful for.
“Box of Rain” takes plenty of time, and moves
surely. The band isn’t in any great hurry. Layers of music weave in
seemingly simple patterns—deceptively simple patterns. Phil Lesh’s
singing is just right. The chorus is fine: “A box of rain will ease the
pain/And love will see you through.” “Believe it if you need it/If you
don’t just pass it on.” Praised be Bob Hunter. Countrified Dead is so
nice to listen to.
From “Box of Rain” they zip into “Friend of
the Devil,” which is a snappy little country number, with some
extremely fine bass and acoustic guitar interplay. Jerry Garcia’s voice
now makes him a perfect wobbly cowboy.
Pigpen drops by with
“Operator.” Pigpen songs are always enjoyable, because they’re Pigpen
songs. That would be enough, but they are often good too, which is an
added bonus, and this one certainly is good. Pigpen growls as ever.
“Ripple”
and “Brokedown Palace” are coupled by a vocal chorus, a little
reminiscent of the Mormon Tabernacle Choir, but only in a complimentary
sense. The songs meld together and are strongly pretty and sad, as is
“Attics of My Life,” which has some very, very nice harmony work.
The
two songs that come closest to being rockers on the album are “Till the
Morning Comes” and “Truckin.” “Truckin” is just the story of the
Dead—going on the road, losing old friends, gaining new ones, trying to
keep everybody happy, trying to play some nice music for people, and
succeeding on all counts.
The Dead are getting pretty big
commercially now, and if ever a band deserved it, it’s them. They have
given us all something to treasure with this album. It’s one for now,
and one for the kids in 20 years too. American Beauty’s like that, you know.
American Beauty shows the GD playing, singing and songwriting skills in full
stride. We had the confidence of a successful record Workingman’s Dead
behind, plus a shared sense of direction that was in tune with the times –
The Band, The Byrds, Poco, CSNY & Dylan were all exploring traditional music
augmented by the power of rock & roll. Psychedelia had had its moment
(marking the GD forever in the public perception) and we were continuing to
evolve what we believed to be the logical next step in American music, hence
the title. There is an underlying tone of sadness to American Beauty
(Phil’s father had just passed away, Jerry’s mother was dying in the
hospital as the result of an auto accident) reflected in the colors of such
tunes as “Box Of Rain,” “Brokedown Palace,” “Attics of My Life” and
“Ripple.” On the up side, “Sugar Magnolia/Sunshine Daydream” re-affirmed
the important business of just getting stupid and being in love, while
“Truckin'” announced, as early as 1970, what a long, strange trip it already
seemed to have been. This didn’t refer only to the GD, but to the ten years
of bluegrass, old timey & jug band configurations leading up to the rock &
roll departure. Grateful Dead Live (’71), Europe ’72 & the Garcia solo
release (also ’72) staked out the GD’s musical territory in a definitive
way. It wouldn’t be until 1975 and Blues for Allah that we would break with
that feeling and extend the territory into less definable musical spaces,
neither psychedelic nor traditional based. This amorphous state of
transition lasted until 1985, when In the Dark once again found us in
command of our direction in a way comprehensible to the public. American
Beauty remains the favorite studio record of many fans and members of the
band, mustering, as it does, all the resources at our command in a futile
but game response to the rising tide of commercially safe music which had
already begun a counter-mission to recover its monopoly of the American
airwaves and record racks in the ’70’s.
I
Grateful Dead sono la più longeva tra le formazioni di rock
psichedelico nate negli Stati Uniti negli anni ‘Sessanta, capace di
regalare ai loro numerosi fan (chiamati “deadheads”) strepitosi
concerti dal vivo. Il primo nucleo della band si forma nel 1963 attorno
a Jerome John “Jerry” Garcia (1942, San Francisco – 1955, Forest
Knolls, California, Stati Uniti; banjo, chitarra e voce), Ron “Pigpen”
McKernan (1945, San Bruno, California, Stati Uniti – 1973 San
Francisco; voce, tastiere e armonica) e Robert Hall “Bob” Weir (1947,
San Francisco; voce e chitarra).
La passione per il bluegrass di Garcia spinge la formazione di nome
Mother McCree’s Uptown Jug Champions a ispirarsi alla musica delle
radici prima di assumere il nome di Warlocks quando, nel 1965, in
organico arrivano il batterista Bill Kreutzmann (1946, Palo Alto,
California, Stati Uniti) e il bassista Philip Chapman “Phil” Lesh
(1940, Berkeley, California, Stati Uniti).
Il repertorio
abbraccia brani di ispirazione rock e blues e il gruppo si ribattezza
The Grateful Dead (dal nome di una preghiera dell’antico Egitto)
cominciando a esibirsi durante gli “Acid Test” di Ken Kesey, veri e
propri happening multimediali in cui vengono sperimentati gli effetti
delle nuove droghe sintetiche (LSD su tutte) sulla creatività e la
percezione degli individui.
La nuova, quinta
dimensione eleva la musica a lunghe improvvisazioni, dilatando le
atmosfere e contribuendo a definire un genere ibrido, psichedelico e
imprevedibile in cui spaziare senza limitazioni.
I concerti dei Dead
sono eventi. In breve l’entourage del gruppo si espande fino a
diventare una numerosa comune hippie, domiciliata al 710 di Ashbury
Street, uno stabile nel cuore di San Francisco.
Quando nel 1967 esplode il fenomeno del flower power e sboccia la
Summer of Love, i Grateful Dead sono ormai un gruppo di punta del nuovo
movimento musicale californiano. Sono una grande famiglia hippie, a cui
appartengono anche il grafico Rick Griffin e il chimico-tecnico del
suono-factotum Owsley Stanley, e a cui si aggiungono un secondo
batterista, Mickey Hart (1950, Long Island, New York), e il paroliere
(amico di vecchia data di Garcia) Robert Hunter (1938, Stati Uniti).
Un contratto con la Warner Bros. consente loro di approdare all’album d’esordio The Grateful Dead
(marzo 1967), che non cattura tuttavia l’essenza del loro variopinto
stile. Le cose vanno meglio con l’arrivo del tastierista Tom Constanten
per Anthem Of The Sun (luglio 1968) e Aoxomoxoa (giugno
1969), due tra gli album-manifesto del periodo dorato della musica
californiana e del rock psichedelico, in cui prevalgono lunghe
composizioni all’insegna della improvvisazione più libera e allucinata.
È però dal vivo che la band dà il meglio (una costante di tutta la carriera): testimonianza ne è Live/Dead
(novembre 1969), mitico doppio live illuminato da una visionaria
versione di 23 minuti di “Dark Star” (uno dei cavalli di battaglia di
tutta la loro storia), che ben ne rappresenta la vibrante attitudine
psichedelica. La loro presenza nei maggiori festival di fine anni ’60
(dal Monterey Pop Festival a Woodstock) li rende un simbolo del
perpetuarsi dello spirito di quel periodo anche negli anni seguenti.
I due splendidi Lp del 1970 Workingman’s Dead (maggio) e American Beauty
(novembre) segnano un cambiamento di rotta verso atmosfere più
acustiche, legate alle radici: le solari ballate sono guidate da
melodie più riconoscibili (“Uncle John’s Band”, “Casey Jones”, “Black
Peter”, “Truckin’, Ripple”) e contribuiscono ad allargare sensibilmente
il seguito della band.
L’attività dal vivo è ormai primaria e nel giro di poco tempo escono infatti due live: Grateful Dead Live (ottobre 1971, doppio, originariamente chiamato “Skull Fuck”, titolo poi bocciato dalla casa discografica) e Europe ’72
(novembre 1972): quest’ultimo triplo segna l’ingresso in organico del
tastierista Keith Godchaux (1948, San Francisco – 1980, Marin County,
California, Stati Uniti) assieme alla moglie Donna (1947, San
Francisco) in sostituzione dei dimissionari Constanten e Ron “Pigpen”
McKernan (quest’ultimo, fortissimo bevitore, muore l’8 marzo 1973 per
una malattia al fegato).
Proprio a Pigpen è dedicato History Of The Grateful Dead Vol. 1 (Bear’s Choice),
raccolta dal vivo contenente materiale inciso nel ’70. Il titolo è
ingannevole: non vuole essere un’antologia e, in più, non viene seguito
da alcun vol. 2. Il “Bear” citato è Owsley Stanley.
Nel 1973 si esibiscono con straordinario successo di pubblico, insieme a The Band e The Allman Brothers Band al festival di Watkins Glen, ma nonostante il memorabile evento, il successivo album Wake Of The Flood – il primo inciso per la neonata, personale etichetta “Grateful Dead” – mostra una pur leggera stanchezza creativa.
I primi anni ’70 sono caratterizzati da un’intensa attività
solistica di tutti i musicisti del gruppo, impegnati in prove
discografiche e numerose collaborazioni di altalenante rilevanza. Tra
tutti spicca Garcia (gennaio 1972), in cui sono contenuti brani
memorabili che in breve entrano a far parte anche del repertorio live
della band (“Bird Song”, “Sugaree”, “Loser”, “To Lay Me Down”).
Nonostante un breve ritiro dall’attività concertistica (1974-1976), per tutti gli anni ’70 il gruppo confeziona album quali Grateful Dead From The Mars Hotel (giugno 1974), Blues For Allah (settembre 1975), Terrapin Station (luglio 1977), Shakedown Street (novembre
1978), che lasciano perplessi perfino i più ferventi ammiratori, a
testimonianza di un periodo poco ispirato. Nel 1977 esce anche What A Long Strange Trip It’s Been, una doppia antologia del periodo Warner (1967-1972).
I concerti continuano a essere la forza principale della band, che
nel 1978 arriva addirittura a esibirsi in Egitto: la magia
dell’avvenimento all’ombra della Grande Piramide viene ulteriormente
accentuata da un’eclissi lunare. Il concerto è interamente registrato,
ma non viene mai pubblicato.
Nel 1979 i coniugi Godchaux abbandonano (Keith muore il 14 luglio
1980 in un incidente d’auto) e l’ingresso del tastierista Brent Mydland
(1953, Monaco, Germania – 1990, Lafayette, California, Stati Uniti)
rivitalizza l’impianto sonoro della band, che con Go To Heaven
(aprile 1980) torna a produrre un buon album di studio. Una serie di
interminabili concerti al Radio City Music Hall di New York e al
Warfield Theatre di San Francisco fruttano materiale per due ottimi
doppi live pubblicati l’anno seguente (l’acustico Reckoning e l’eclettico Dead Set) e un film-concerto pubblicato (nel 1982) anche in videocassetta (Dead Ahead Live).
Negli anni 80 si dedicano quasi esclusivamente ai concerti,
limitando le uscite discografiche ai progetti solistici. Nel gennaio
1985, Garcia viene arrestato al Golden Gate Park di San Francisco per
possesso di eroina e nel luglio 1986, 15 mesi dopo un intenso programma
di cura disintossicante, collassa per cinque giorni rischiando la morte
per coma diabetico dovuto all’abuso di stupefacenti. Ma nel 1987 è di
nuovo alla guida del gruppo per In The Dark (luglio 1987),
brillante prova in studio che, grazie all’hit single “Touch Of Grey”,
sarà l’unico loro album a far registrare una significativa presenza
nelle classifiche americane. Tutto ciò mentre i Dead suonano da backing
band per Bob Dylan (esperienza da cui scaturirà il criticato Dylan & The Dead).
Alla fine degli 80 vengono attribuiti numerosi riconoscimenti a
Garcia, che si rivela attivissimo anche con altre formazioni: la
critica evidenzia gli ottimi album dal vivo Almost Acoustic (dicembre 1988) attribuito alla Jerry Garcia Acoustic Band e Jerry Garcia Band (1991), quest’ultimo impreziosito da estese versioni di brani di Bruce Cockburn, Bob Dylan, Smokey Robinson, The Beatles, The Band, Los Lobos e altri.
L’ultima, deludente prova in studio del gruppo è Build To Last (ottobre 1989), a cui fanno seguito il buon live Without A Net (settembre
1990, contenente un’accattivante versione di “Dear Mr.Fantasy” dei
Traffic) e una serie di pubblicazioni dal vivo emesse dalla loro
etichetta: si tratta delle registrazioni dei migliori concerti
ritrovati negli archivi e, tra tutti, vanno ricordati One & Two From The Vault (aprile 1991) e la nutrita serie Dick’s Picks. Altre imperdibili pubblicazioni ufficiali dal vivo sono Hundred Year Hall (settembre 1995, doppio cd con un concerto del 1972 dallo stesso tour da cui è estratto Europe ’72) e Dozin’ At The Knick (ottobre 1996, triplo CD tratto dal tour del 1989-1990).
Il 26 luglio 1990, a causa di un’overdose di cocaina e morfina,
muore il tastierista Brent Mydland, sostituito nelle esibizioni dal
vivo da Bruce Hornsby (1954, Richmond, Stati Uniti) e dall’ex-Tubes
Vince Welnick (1952, Phoenix, Arizona, Stati Uniti): Ma la parola fine
all’avventura Grateful Dead viene posta il 9 agosto 1995, quando Jerry
Garcia viene trovato morto nella clinica di disintossicazione Serenity
Knolls a Forest Knolls (California), in seguito a un attacco cardiaco.
Arista Years (1996) è un doppio CD antologico con brani tratti dagli album prodotti tra il 1977 e il 1990.
Jerry Garcia lascia una gran quantità di materiale inedito di
stampo folk inciso con l’amico mandolinista David Grisman (è di rara
bellezza il postumo Shady Grove). Il chitarrista lascia anche
un piccolo ma altamente remunerativo impero (conteso a suon di udienze
legali dalle due ex-mogli) costituito da linee di abbigliamento e
svariati oggetti marchiati “The Grateful Dead”.
(tratto da La Storia del Rock)