Descrizione
PREMESSA: LA SUPERIORITA’ DELLA MUSICA SU VINILE E’ ANCOR OGGI SANCITA, NOTORIA ED EVIDENTE. NON TANTO DA UN PUNTO DI VISTA DI RESA, QUALITA’ E PULIZIA DEL SUONO, TANTOMENO DA QUELLO DEL RIMPIANTO RETROSPETTIVO E NOSTALGICO , MA SOPRATTUTTO DA QUELLO PIU’ PALPABILE ED INOPPUGNABILE DELL’ ESSENZA, DELL’ ANIMA E DELLA SUBLIMAZIONE CREATIVA. IL DISCO IN VINILE HA PULSAZIONE ARTISTICA, PASSIONE ARMONICA E SPLENDORE GRAFICO , E’ PIACEVOLE DA OSSERVARE E DA TENERE IN MANO, RISPLENDE, PROFUMA E VIBRA DI VITA, DI EMOZIONE E DI SENSIBILITA’. E’ TUTTO QUELLO CHE NON E’ E NON POTRA’ MAI ESSERE IL CD, CHE AL CONTRARIO E’ SOLO UN OGGETTO MERAMENTE COMMERCIALE, POVERO, ARIDO, CINICO, STERILE ED ORWELLIANO, UNA DEGENERAZIONE INDUSTRIALE SCHIZOFRENICA E NECROFILA, LA DESOLANTE SOLUZIONE FINALE DELL’ AVIDITA’ DEL MERCATO E DELL’ ARROGANZA DEI DISCOGRAFICI .
JOHN MARTYN
inside out
Disco LP 33 giri , 1973, island / dischi ricordi , ILPS 19253 , Italia, this is mid 80’s blue labeled reissue with original stamper in high sound quality / riedizione dei primi anni 80 con la nuova etichetta blu apposta sulle matrici originali ad alta qualità sonora
ECCELLENTI CONDIZIONI, vinyl ex++/NM , cover ex++/NM.
Inside Out is an album released in 1973 by British singer-songwriter John Martyn. It was his fifth solo album, and his seventh if one includes the albums he made with his wife, Beverley.
It was his jazziest release to date, featuring two fan-favorites, “Fine
Lines” and “Make No Mistake,” as well as two songs that he enjoyed
playing live as jazz epics, “Outside In” and “Look In.” The experimental
nature of the album came as something of a shock to fans when it
arrived directly after his best-loved album, the softer and more melodic
Solid Air.
- Etichetta: ISLAND / Ricordi
- Catalogo: ILPS 19253
- Matrici : ILPS – 19253 – A / ILPS – 19253 – B
- Data matrici : 2-10-1973
- Supporto:vinile 33 giri
- Tipo audio: stereo
- Dimensioni: 30 cm.
- Facciate: 2
- Copertina apribile/ gatefold , blue label, lyrics inner sleeve
Tracce
All tracks composed & arranged by John Martyn except were noted
- Lato A
- “Fine Lines”
- “Eibhli Ghail Chiuin Ni Chearbhail” (Traditional, arranged Martyn)
- “Ain’t No Saint”
- “Outside In”
- “The Glory Of Love” (B.Hill)
- Lato B
- “Look In”
- “Beverley”
- “Make No Mistake”
- “Ways To Cry”
- “So Much In Love With You”
Personnel
John Martyn – vocals, guitar
- Danny Thompson – bass, double bass
- Chris Stuart – bass
- Steve Winwood – bass, keyboards
- Chris Wood – flute, horns
- Remi Kabaka – percussion
- Kesh Sathie – tabla
- Bobby Keyes – saxophone
Released in October 1973. John described Inside Out as “everything I
ever wanted to do in music… it’s my inside coming out.” The album was
experimental, a skillfully free-form jazz orientated album featuring
superb guitar work by John and superbly varied bass playing from Danny
Thompson. Other musicians included Traffic’s Steve Winwood and Chris
Wood, Bobby Keyes and Remi Kabaka. The intensive recording sessions were
largely late at night with no cutting, editing or splicing. It was
“live” and tracks were faded out where necessary. The album won John a
Golden Disc from Montreaux. Considered by critics as a “cosmic foray.”
At the time John explained that Inside Out was all about the concept of
love…
“It felt natural”, said John at the beginning of the track Fine Lines.
“I think I’ll always use Danny Thompson because he’s got real feel for my music and I’ve got real feel for his.”
“A
celebration of love – his playing has reached an uplifting intensity,
the equal of anything on offer at present…I unreservedly recommend it
!” (Melody Maker 13/10/73)
Probably his most experimental effort, Inside Out saw John Martyn‘s
work with the Echoplex become a linchpin in his overall sound. His
voice, which was transforming with each recording, also became more of
an instrument, developing at times a rough, bluesy quality and slipping
further and further into a jazz-like slur. The album, which features Steve Winwood and Chris Wood of Traffic, as well as long time cohort Danny Thompson,
balances smoldering tunes like “Ways to Cry” and “Fine Lines” with
fiery, hypnotic excursions with the Echoplex, such as “Make No Mistake”
and “Look In.” Some of his fan base may have felt alienated by the
strange flights of Inside Out, but it’s proven to be an important record in Martyn‘s oeuvre.
Prendete Astral Weeks di Van Morrison, oppure anzi prendete
il periodo più toccante di Tim Buckley, quello della commistione tra
folk e jazz in opere inarrivabili quali Lorca, Starsailor e anche Happy
Sad, ecco, tutto ciò che c’è di divino in queste incisioni, tutto quelle
note che diventano anima le troverete anche qui. Affogate nell’alcool,
piene di ricordi e lacrime, ma le trovate anche qui.
John Martyn prima di tutto è un maestro nell’uso della voce,
la plasma, la usa quasi come strumento, in alcuni casi sembra un sax
baritono (si prenda per esempio l’incantevole iniziale Fine Lines), e
grazie ad essa ed a dei musicisti fantastici (Danny Thompson dei
Pentangle, Steve Winwood e Chris Wood dei Traffic per citarne alcuni),
crea un tappeto liquido in cui passa tranquillamente da perfette canzoni folk ad improvvisazioni free jazz
senza risultare minimamente pretenzioso, anzi, si riesce a seguire
tranquillamente la musica perché è di una spontaneità incredibile… non
si rimane stupiti se non alla fine del disco, quando a mente fredda ti
chiedi come possa risultare cosi naturale e dolce una scrittura comunque
mai scontata o semplice.
Lo scozzese già dalle prime opere targate
1968 (soprattutto da The Tumbler) aveva iniziato ad annacquare la sua
scrittura simil Dylan con delle digressioni Jazz, ma è in questa opera
che tocca lo zenit della sua produzione artistica (arte che
logicamente sarà pluriosannata molto più tardi, ma assolutamente non
considerata al momento della sua uscita).
Ascoltate per esempio Look In, traccia di apertura del secondo lato, dove è la sua chitarra a dettare la scrittura, una specie di funky liquido,
un attestato di classe immenso che canta con una forza incredibile ma
allo stesso tempo estremamente delicata, oppure la seguente Beverly,
strumentale da brivido che evoca paradisi solo immaginati o ancora
Outside In, sorta di suo freeformfreakout (con buona pace di Mayo
Thompson dei Red Crayola, ma qui la classe è di un altro livello dai…)
e spartiacque del disco, tutto mostra una coesione assoluta,
ispirazione chissà da quale galassia e sempre e soprattutto quella voce,
anzi quelle mille voci, che cullano anche solo sibilando delle vocali.
Ahhh, lasciarsi avvolgere dall’abbraccio malinconico di Ways to Cry e fingere di essere innamorati ascoltando il quasi soul di So Much In Love With You,
far finta di aver capito tutto ciò che John ci vuol dire e dover per
forza riascoltare il disco dall’inizio, perché appena la puntina si alza
percepisci già la magia che ti scorre via dalle dita, un senso di vuoto
che prima era un mare calmo, e no, non ne hai abbastanza mai di questo
mare…ti ci rituffi con il sorriso, cercando di trattenere il fiato il
più possibile per immergerti sempre più in profondità e scoprire chissà
quali segreti a te cari.
Immerso negli anni settanta, una decade musicalmente rivoluzionaria
come mai nessun altra (anche se forse…a ben vedere tutte le decadi ne
hanno avute di rivoluzioni, l’esposizione di esse ha fatto la
differenza), un capolavoro al di sopra di idee e ideali.
Roddy Hart on John Martyn
“John Martyn played guitar like a man possessed. He understood that
to truly connect, it was the soul of a song that mattered and nothing
else. Martyn conveyed this not only through his timeless vocals, lyrics
and melodies, but through his playing. Sweet and soulful, but always
with an air of trademark menace, he made the guitar sing.”
Lo scozzese John Martyn (all’anagrafe Iain McGeachy) e` uno dei pochi cantanti che possa competere con Tim Buckley in fatto di creativita` vocale e uno dei piu` vicini alle tecniche del jazz. I suoi capolavori sono dischi complessi e difficili che sfocano i confini fra folk, blues, soul e jazz. Rimase sconosciuto ai piu` (ignorato da quasi tutte le enciclopedie pubblicate nei primi vent’anni della sua attivita`) finche’ si converti` alla musica pop.
Martyn esordi` (giovanissimo) con un disco di folk tradizionale,
In collaborazione con la moglie Beverly Kutner, Martyn pubblico` due album
Martyn continuo` a curare maggiormente le caratteristiche anomale del canto,
Solid Air (Island, feb 1973) fu il suo disco “blues”, in quanto
Continuando in quell’esaltante progressione, Martyn pervenne al suo
Sunday’s Child (Island, jan 1975) segno` un ritorno al formato della
Martyn non stava pero` attraversando un buon momento. Oltre a essere alcolizzato
Martyn scomparve per un po’ dalle scene e venne devastato psicologicamente
Per Glorious Fool (WEA, sep 1981) a Phil Collins si aggiunse anche un
L’influenza di Phil Collins e` ancora avvertibile su
Robert Palmer lo aiuto` a registrare un altro dei suoi album peggiori,
Piece By Piece (Island, feb 1986) e` molto meglio, ma principalmente
The Apprentice (Permanent, mar 1990), originariamente registrato
Cooltide (Permanent, 1991) torno` allo stile che gli era piu` |
Scottish guitarist and vocalist John Martyn was one of the most original advocates of a folk-rock-jazz fusion. As a vocalist, his free-form delivery could compete with Tim Buckley’s. As a guitarist, his technique borrowed (in a creative way) from jazz and Indian music. His first naive attempt at fusing folk and jazz, on The Tumbler (1968), perhaps influenced by Donovan’s albums of the previous year, and the appropriation of jazz orchestration within the format of the folk-rock song, first attempted on Stormbringer (1970) and The Road To Ruin (1970) and perhaps influenced by Van Morrison’s contemporary album, opened the road to the first mature formulation of his art, Bless The Weather (1971). Vocal acrobatics, guitar overtones and jazz arrangements merged with sublime elegance on Solid Air (1973), his first masterpiece. Inside Out (1973), his second and supreme masterpiece, delved into eastern mysticism and further expanded song structures to approach the free-form jam. After Sunday’s Child (1975), Martyn displayed his enormous talent only occasionally: Small Hours (1977), John Wayne (1986), Cooltide (1992). Mostly, he now gravitated towards Phil Collins’ disco-soul and electronic new-age music. |
After a long hiatus (due to health problems), Martyn released
And (GoDiscs, 1996), a mediocre album by his standards that include
only one truly good number (Sunshine’s Better) and a few decent ones
(Suzanne, The Downward Pull Of Human Nature, Carmine).
Sweet Little Mysteries (1995) is an excellent double-disc overview from
the Bless The Weather to Piece By Piece.
The Church With One Bell (Independiente, 1998 – Thirsty Ear, 1998) is
a cover album.
John Martyn died in 2009 at 60.
John Martyn/ Intervista [Rockerilla]
Published 1st January, 1981
Una vita, quella di John Martyn, percorsa in una dozzina di sequenze,
di cui, almeno tre, Solid air, Inside out e Grace & danger,
l’ultimo lavoro, passeranno alla storia della rock music, componendone
una pagina atipica ed intelligente, confortata dall’apporto geniale di
poche altre menti non meno valide e particolari: Nick Drake per primo,
Jon Mark, Jonny Almond, Pete Atkin, Roy Harper, Michael Chapman, Kevin
Coyne e qualche altro.
E’ Hamish lmlach, chitarrista e folksinger scozzese molto vicino alla
tradizione, a dargli i primi rudimenti alla chitarra, ma la cronaca
vuole che sia Bert Jansch, in un solo anno, a smaliziarlo su tutte le
difficoltà del finger picking più evoluto. Ed è subito l’esordio,
precoce, ben promettente.
La realtà musicale dei tempi, sul finire degli anni sessanta, vede
molti musicisti inglesi impegnati a rivedere la tradizione con occhio
giovanile e sfrontata irriverenza, c’è il folk, si, c’è la tradizione,
ma anche il jazz, il rock, il blues, linguaggi, questi, più
contemporanei, più congeniali ai tempi.
Nasce l’idea di rivivere la tradizione con l’aiuto delle più diverse
tendenze musicali e sonore. E Martyn affoga le sue prime esperienze
proprio in questa sorgente ricca di idee, intuizioni, speranze. Ma in
Lui il folk rimarrà solo un ricordo, un feeling ancestrale, sotterraneo e
intimo, sebbene sempre presente.
Con Bless the weather, del ’71, il disegno musicale di Martyn prende a
delinearsi con maggior precisione; e già le basi di una ricerca
destinata all’evoluzione continua, sono poste. Solid air, dedicato
all’amico Drake, ed Inside out, assurgono ai vertici di una espressività
assolutamente originale. John veste i panni del songwriter
contemporaneo e allo stesso tempo tenta di trascenderne la dimensione
più ovvia e tradizionale. La voce, sussurrata, calda, morbidamente roca,
gioca dolcemente nei sussulti del ritmo per diventare strumento aperto e
sensitivo, la chitarra, filtrata, ricerca mille stimoli nelle pieghe di
una timbrica ricca e variegata. Martyn è alchimista sottile di
materiali sonori, ritmi, misure; in Lui, mai l’adesione formale ad un
genere o ad uno schema, in Lui, sempre una musica affascinante e
sensuale che penetra con definizione i segni del suo stesso tracciato
esistenziale. Il folk, il jazz, il rock, il funky, il reggae (vedi
Johnny Too Bad, dall’ultimo disco Grace & danger) vengono
trasfigurati nella loro rigidità formale per fungere da supporto ideale
ad una personalità complessa, dalla acuita sensibilità percettiva. Una
proposta musicale fascinosa e calda, quella di John, certo di non facile
fruizione, spinta ad attentare a quelle che sono le convenzioni dei
generi musicali e di chi li vive necessariamente settorializzati.
Le canzoni di Grace & danger parlano d’amore, un amore che pulsa
alla fine, parlano di nostalgia, di consapevolezza, dolcemente,
compostamente, amaramente. Le parole, leali, pure, colgono un senso
superiore nei gorghi teneri di una musicalità perfetta, accarezzate
generosamente dalla voce di Martyn che non finisce di sorprendere mai.
‘Looking On’ fa pensare al jazz-rock, alle plaghe sonore impalpabili
di Ralph Towner, ai giochi intricati del migior Weather Report, ma è, in
fondo, un pensiero che non rende giustizia né a John né ai musicisti
che lo accompagnano, Phil Collins, John Giblin, Tommy Eyre, tutti
splendidi. E’ fuori logica di trastullarsi con le etichette; Martyn è un
musicista il cui valore si misura attraverso la stessa capacità di
sondare i più segreti spazi interiori esplorando sempre nuove
prospettive sonore e musicali. Ascoltate ‘Sweet Little Mystery’ e ‘Baby
Please Come Home’ e lasciatevi andare, lasciatevi prendere dalla sobria
dolcezza, dalla tenerezza calma di quest’uomo, un uomo, un musicista, da
amare senza reticenze!
UGO BACCI
INTERVISTA A JOHN MARTYN
D. – Cosa pensi del pubblico italiano? Come pensi abbia reagito alla
tua proposta odierna? E’ ormai lontana l’Epoca in cui suonavi nei folk
& clubs, che cosa rimane di Te di quella prima esperienza?
R. – In queste sere tutto è abbastanza strano, Io sto cambiando, facevo
musica acustica, ora suono elettrico. Molti sono legati ad una mia
immagine particolare, vogliono sentire da me musica acustica. E’ molto
strano, forse il pubblico non mi conosce in modo approfondito,
probabilmente molti non mi avevano mai ascoltato. Vedi, capisco che è
difficile, ma, in verità, non vedo alcuna differenza tra le forme
musicali, ed in fondo le cose che facevo all’inizio non sono differenti
dalla musica elettrica che faccio ora.
D. – Blues, jazz, rock, funky, reggae, tutti questi generi musicali
sono presenti, sebbene in modo particolare, nei tuoi lavori; pensi che
esista un humus comune, un filo, anche sotterraneo, che connette
l’anima, lo spirito di tutte queste tendenze musicali.
R. – Si c’è, in effetti, una linea, ma è nella mia mente, nel mio cuore.
Questo è quello che suono perché credo in una linea comune, ecco perché
faccio una musica aperta a tutte le influenze. Credo che esista una
linea, un feeling forse, che collega i musicisti, buoni, di tutto il
mondo. E’ difficile spiegarlo, ma io vivo lì, io vivo proprio in questa
linea comune, per questa linea comune. Cè comunque uno spirito comune,
ma non riesco bene a definirlo, a parole, spero di riuscirvi meglio con
la musica.
D. – Parlaci di due o tre musicisti che pensi ti abbiano influenzato in qualche modo.
R. – Per primo direi Davey Graham, la sua chitarra ha influenzato un po’
tutti i chitarristi inglesi, è veramente un grosso personaggio, ma
forse prima ancora la folk music in genere è stata determinante come
influenza. Oggi amo molti gli Weather Report di Zawinul.
D. – Ci piacerebbe che tu ci parlassi di un musicista che riteniamo
veramente valido, uno dei migliori, e che sappiamo essere stato tuo
amico, il suo nome è Nick Drake. Che cosa ha rappresentato, secondo te,
Nick nel panorama musicale inglese?
R. – Che cosa posso dire? Credo sia stato il migliore, aveva un cuore
generose, era di animo gentile. Credo sia stato veramente incompreso ai
suoi tempi, era molto illuminato, troppo sensibile, molto più della
gente normale. Lo amavo, era un persona incredibilmente dolce, un
musicista irripetibile, ineguagliabile per valore.
D. – Sulla scena musicale inglese quali pensi che siano i musicisti, i songwriters, più interessanti oltre a John Martyn?
R. – Ma non conosco molto gli altri musicisti. Michael Chapman non mi
piace proprio per esempio. Roy Harper, fa un genere differente, molto
buono, ma non è il tipo di musica che apprezzo particolarmente. E’
politicizzato, più di quanto non lo sia io, ma la sua è una politica
mentale, cerebrale. E’ un tipo che lavora essenzialmente con la testa,
io faccio musica col cuore. Roy mi piace come persona, ma poco come
musica. Non è veramente reale, insomma, non sono in sintonia con lui, ma
lo rispetto.
D. -Che cosa ti piace? Cosa ascolti ultimamente?
R. – Ultimamente sto sentendo molta musica bulgara, musica vocale, ma
ascolto anche Thelonious Monk che amo molto e molta musica classica.
Ascolto poca musica moderna, non mi piace, penso che non sia poi cosi
buona, ci sono pochi musicisti veramente validi. Weather Report è il mio
gruppo favorito, penso sia il miglior gruppo del mondo.
Intervista raccolta da
ELENA RIVA e UGO BACCI